Catanzaro – “Sono stati interessati i territori di Vallefiorita e Roccelletta di Borgia e nello specifico due compagini di matrice ‘ndranghetistica. Siamo ancora nelle fasi preliminari delle indagini ma ciò che emerge riguarda due gruppi già coinvolti in passato da altre operazioni e che si contendono il territorio. Le indagini hanno svelato una serie di episodi intimidatori ed estorsivi a danno di operatori economici lungo la fascia ionica catanzarese fino a ridosso di Catanzaro. Delineata la disponibilità di un quantitativo di armi molto inquietante”. Ad affermarlo Vincenzo Capomolla, procuratore capo facente funzioni della Dda di Catanzaro, nel corso della conferenza stampa indetta alla luce dell’operazione odierna, condotta dai carabinieri, e che ha portato all’arresto di 22 persone e per la quale sono stati impiegati oltre 200 militari dell’Arma.
Anche chi andava a caccia di cinghiali dalle loro parti veniva sistematicamente intimidito e minacciato dagli esponenti delle due consorterie di Roccelletta di Borgia e di Vallefiorita. Il particolare è emerso nel corso della conferenza stampa dell’operazione “Scolacium” portata a termine dai carabinieri con il coordinamento della Dda che ha evidenziato la pervasività di due organizzazioni di ‘ndrangheta che si contendevano il predominio in una vasta area a pochi chilometri di Catanzaro. L’inchiesta ha coinvolto 22 indagati, di cui 19 in carcere e 3 ai domiciliari, ritenuti appartenenti a una cosca di Roccelletta di Borgia e a una cosca di Vallefiorita che per anni sono stati in conflitto tra di loro e che avevano imposto la loro supremazia a colpi di attentati, aggressioni, danneggiamenti, incendi. Con una diversificazione delle aree di influenza, comunque contigue: la cosca di Vallefiorita estendeva i propri tentacoli nel territorio di Squillace e di Squillace Lido, non disdegnando di fare pressioni su stabilimenti balneari e turistici, mentre la cosca di Roccelletta di Borgia era riuscita a penetrare nell’hinterland di Catanzaro, in particolare nel quartiere Germaneto, che ospita numerosi insediamenti imprenditoriali e produttivi su cui il clan aveva puntato l’attenzione.
Nel mirino delle due consorterie – ha spiegato il procuratore vicario Vincenzo Capomolla – diversi settori imprenditoriali, dall’eolico al boschivo, al commercio, soggiogati da un sistema di estorsioni a tappeto che non risparmiava praticamente nessuno e da una forza di intimidazione che – hanno spiegato ancora gli inquirenti – “ha finito con il creare un clima di omertà evidente nella sostanziale assenza di denunce da parte delle vittime”: al soldo delle due organizzazioni anche alcuni imprenditori collusi o addirittura organici. Sullo sfondo, la lotta anche cruenta per accaparrarsi il monopolio delle attività criminali in un’ampia fetta di territorio, una lotta violenta per dirimere la quale si sarebbero mobilitati anche, nel ruolo di mediatori, i boss di ‘ndrangheta di altre province, soprattutto del Reggino, intervenuti più volte con il loro carisma superiore per placare gli animi. Due organizzazioni dunque particolarmente efferate e pervasive, e già conosciute dagli investigatori: sia la cosca di Vallefiorita che quella di Roccelletta di Borgia infatti in passato sono finite nei radar della Dda di Catanzaro nella maxi operazione “Jonny”, che ne aveva disarticolato i vertici.
I due clan – è stato evidenziato in conferenza stampa – “hanno mostrato una grande capacità di autorigenerarsi affidando il comando alle nuove leve, rappresentate dai giovani delle rispettive famiglie”. Nuove leve disposte a tutto, “con la piena consapevolezza – hanno rimarcato gli investigatori – anche dei rischi di una vita criminale così intensa, come quello di morire”: uno degli indagati – emerge da un’intercettazione – avrebbe confidato di “aver portato con se’ sempre una pistola fino ai 17 anni”. La cifra delle due consorterie era la spavalderia, saldata da una violenza che non conosceva ostacoli: gli inquirenti infatti hanno accertato anche l’aggressione al sindaco di uno dei Comuni epicentro del dominio delle organizzazioni, danneggiamenti, incendi, minacce, persino a chi andava a caccia di cinghiali dalle loro parti. “Se vieni qui un’altra volta ti ammazzo”, dice uno degli indagati a un cacciatore, a conferma di un “assoluto controllo” del territorio attuato dalle due cosche.
Bruno Mirante